Ambito/Autore : Pietro Ricchi, il Lucchese (Lucca, 1606-Padova o Udine, 1675)
Periodo storico: 17° secolo
Anno: 1652
Soggetto: Gesù Bambino appare a Sant’Antonio da Padova incoronato da Angeli
Luogo di conservazione: Cles, chiesa di Sant’Antonio da Padova, altare maggiore
Materia e tecnica: olio su tela, cm 305 x 171,5
Descrizione:
La pala, in buone condizioni dopo il restauro di Serafino e Ferruccio Volpin (1980-1982), evoca la visione di Gesù Bambino occorsa a Sant’Antonio da Padova nella locanda in cui aveva fatto sosta nel corso di un viaggio e della quale fu testimone oculare l’oste, come viene narrato dalla leggenda biografica del santo: un episodio di notevole empatia con la sensibilità barocca e che ebbe ampia diffusione nella pittura del Sei e Settecento (Mâle 1984, pp. 170-171).
Il Salvatore, completamente nudo, biondo e riccioluto, ritto su un libro poggiato al tavolo da cui ricade un drappo serico di argentea lucentezza, sfiora teneramente il volto del santo immobile, le braccia spalancate a croce, in segno di totale abbandono. Un efebico angelo lo incorona di rose, un secondo regge il ricorrente attributo del giglio e una gloria di angioletti su nembi accompagna la manifestazione divina.
Marco Morizzo trae dalla cronaca di Cles l’anno della collocazione del dipinto, il 1653: “La palla dell’altare maggiore della chiesa dei Frati di quel paese, rappresentante il patrono s. Antonio di Padova ‘immagine pulcherrima, che dicono del valore di cento talleri’ fu messa a suo posto appunto in quest’anno”. L’esecuzione effettiva dell’opera risale tuttavia all’anno precedente, come ha chiarito Ezio Chini attingendo direttamente ai pochi documenti antichi superstiti del convento.
Questo notevole brano pittorico è stato singolarmente deprezzato nella prima metà del Novecento, prima dal Molinari che scrive in proposito di “fattura scorretta e di colore stonato”, quindi da Simone Weber che lo qualifica di “mediocre valore”. Passamani tolse il notevole dipinto dall’anonimato, esprimendo un parere orale all’allora guardiano padre Raffaele Centi in favore di Fra Semplice da Verona, al quale fece seguito il prudente avallo di padre Gianmaria Dianin di Verona a mezzo lettera del 9 dicembre 1980. È merito di Ezio Chini aver arguito la corretta attribuzione a Pietro Ricchi. Lo studioso, nel riconoscere la cifra stilistica del grande artista di origini toscane, ne mette in rilievo la chiarezza acidula dei colori, tipica del periodo bresciano, al termine del quale Ricchi operò estesamente nel principato di Trento. Risulta tipico di questo momento della sua carriera il perdurare di istanze formali di gusto neomanierista, come si evince dagli elegantissimi angeli dalle vesti capziosamente gonfiate. Prettamente lombardo e straordinario saggio di bravura è il drappo accartocciato sul quale l’artista indugia traendone stupefacenti effetti di luce, quasi in ossequio alla tradizione pittorica bresciana del Cinquecento.
A fronte di un così chiaro inquadramento cronologico e stilistico, manca qualsiasi ragguaglio circa il finanziatore di un’opera tanto prestigiosa, rimasto anonimo.
Tra le numerose repliche che attestano il successo della tela, quella nella chiesa minoritica a Pergine documenta l’eco all’interno della comunità francescana del Trentino (Dipinti su tela, pp. 96-97, cat. 26: E. Chini).
Fonti: ACSA, ms. 1, n. 1, cc. 43-44; Morizzo, I, p. 156; Morizzo, II, p. 332; ACPFM, busta 307, Inventario 1927, n. 1; busta 244, Inventario 1959, p. 658, n. 56; ACPFM, Corrispondenza, anno 1980, cc. 1-2; SBC Chini 1981/ OA/ 00034539; ACSA, Inventario 2013, p. 7.
Bibliografia: Molinari 1926, p. 294; Weber 1937, p. 29; Chini 1981, pp. 62-268; Dipinti su tela, pp. 96-97, cat. 26 (E. Chini); Chini 1982, pp. 247, 253; Leonardi 1982, p. 259; Guzzo 1985, p. 218; Chini 1994, p. 266; Pietro Ricchi, pp. 288-289, cat. 29 (E. Rollandini); Chini 2002b, p. 790; Stenico 2004c, pp. 6