Ambito/Autore : Giuseppe Alberti (e aiuti) (Tesero, 1640-Cavalese, 1719)
Periodo storico: 17° secolo
Anno: 1690-1693
Soggetto: San Francesco d’Assisi riceve le stimmate, Santa Chiara, San Salvatore da Horta, San Pietro d’Alcantara, San Giovanni da Capestrano, Santa Rosa da Viterbo, San Bonaventura, San Pasquale Baylon, Santa Margherita da Cortona e altri
Luogo di conservazione: Cavalese, chiesa di San Vigilio
Materia e tecnica: olio su tela, cm 244 x 140; cm 240 x 140; cm 245 x 140;
Descrizione:
Le tredici tele sono state restaurate tra il 2004 e il 2006 dal Consorzio Ars e costituiscono un ciclo unitario assieme ad un quattordicesimo pezzo, San Diego d’Alcalà di Giovanni Francesco Furlanello. La serie vide la luce tra il 1690, con i primi due dipinti, e il 1693 (altrettante tele). L’impegno più cospicuo cadde tuttavia nel 1691 con ben cinque pezzi, sei annoverando l’opera di Furlanello.
Quattro quadri non sono datati. Di questi, due sono anche privi di indicazioni del donatore: Santa Chiara e Santa Caterina da Bologna in estasi. Ci si deve chiedere se non siano stati realizzati a spese della comunità francescana. A Santa Chiara, la più importante del gruppo assieme a San Francesco – entrambi sono da sempre in coro – potrebbe essere assegnata la stessa data 1690. San Francesco Solano battezza gli indiani reca un complesso monogramma, quasi una marca notarile, che sfugge all’identificazione ma che presenta molte analogie con quello vergato sul verso di una Madonna annunciata posta in refettorio (cat.), come anche con il monogramma sul verso della Fuga in Egitto nella quadreria dei Cappuccini a Trento (Mich 2010, pp. 148-149, cat. 52). Tutti gli altri esplicitano a chiare lettere i nomi dei generosi benefattori che ne sostennero i costi: personaggi di primo piano nel contesto sociale cavalesano come Giovanni Battista Bonelli, già vicario vescovile di Fiemme e primo sindaco apostolico del convento o Giovanni Pietro Baldironi luogotenente di Fiemme. Oltre a quel Giovanni Gaspare Riccabona che si fece carico due anni prima del San Diego d’Alcalà, in calce a Santa Margherita da Cortona appare un altro membro della famiglia, Giovanni Battista.
Il dipinto donato nel 1690 da Cipriano de Lazzari ha sollevato notevoli problemi interpretativi, non convincendo la tradizionale identificazione in San Francesco Solano. L’enigma, per il quale si è invocata una possibile soluzione verso Sant’Antonio da Padova (Andreatta), si risolve con il profilo agiografico dello spagnolo San Salvatore da Horta (1520-1567), il grande taumaturgo francescano di cui viene qui celebrata l’opera di esorcista. Acclamato come santo in vita, venne beatificato non senza traversie solo nel 1711 e canonizzato nel 1934, ma già all’inizio del Seicento l’aura che lo pervadeva ne aveva reso lecito il titolo di beato e la divulgazione di immagini di culto, come testimonia fra l’altro la presenza della sua effigie nel vecchio San Bernardino a Trento. Ricorre nell’iconografia del santo l’esorcismo praticato con l’aspersorio dell’acqua santa, come si evince da una scadente tela nello stesso convento di Cavalese qui attribuita a Valentino degli Angeli.
Giungiamo dunque alla delicata questione attributiva. Nel 1742 Anton Roschmann accenna brevemente, nel pionieristico profilo di Giuseppe Alberti, ad “Altarblättern und anderen”, lasciandoci intuire quel ruolo di regista, se non di unico attore, dell’apparato pittorico del tempio che effettivamente gli compete. L’affermazione del Riccabona (1806) secondo il quale Furlanello avrebbe preso parte all’esecuzione di sei delle tele con santi dell’ordine, respinta da Molinari ma riportata anche dalla Cronaca provinciale (Morizzo), fu attentamente soppesata da Rasmo (1947) che riconobbe l’apporto massiccio di aiuti e successivamente identificò il pezzo spurio della serie, ormai più volte citato, ovvero il San Diego di Furlanello (sul quale si veda anche Mich 2009). Benché non sia possibile individuare ulteriori tele di limpida paternità, né precisare con sufficiente certezza quelle totalmente autografi (ammesso che ve ne siano), resta l’opportunità di isolare i brani qualitativamente meno sostenuti, ovvero quelli che videro la più massiccia partecipazione della bottega, peraltro naturale nella messa a punto di un’impresa così impegnativa. L’Elemosina di Santa Elisabetta d’Ungheria è senza alcun dubbio il pezzo più scadente della serie e il più lontano da Alberti, la cui esecuzione va data per intero ad un seguace non identificabile. I volti vorrebbero essere aggraziati ma riescono sfuggenti, le figure riverberano di riflessi bronzei ma finiscono per essere piatte. Un aspetto che informa in misura diversa anche il poco entusiasmante dipinto dedicato a San Francesco Solano.
Tra le tele che meritano invece apprezzamento e che esprimono il meglio di Alberti sono San Salvatore da Horta, ben risolto nella composizione equilibrata e molto vicino ai quadroni di San Bernardino a Trento e Santa Caterina da Bologna, con la raffinata digressione sugli angeli cantori. Va fra l’altro osservato che questa immagine si scosta dalla consueta e tetra iconografia di Santa Caterina Vigri con la raffigurazione del suo cadavere intronizzato e sontuosamente rivestito (cat. 229).
Nel San Ludovico da Tolosa, molto manierato e inerte nonostante i molti scrupoli descrittivi, va distintamente lodata l’interpretazione della Vanità riversa ai suoi piedi, con il putto che dispettosamente disperde in un soffio la transitoria e fragile bellezza del soffione.
Fonti: Morizzo, II, p. 333; ACPFM, busta 304, Inventario 1927, n.7-17; busta 244, Inventario 1960, p. 651, n. 47-50; 52-54; 59-62; 67-68; SBC Giacomelli 1987/ OA/ 00053840-851.
Bibliografia: Roschmann 1742, p. 30; Riccabona 1806, p. 110; Rasmo 1914, p. 5; Molinari 1926, p. 299; Felicetti 1933, pp. 55-56; Rasmo 1947,pp. 92-93; Weber 1977, p. 16; Rasmo 1980, p. 61; Giuseppe Alberti pittore, pp. 16, 25, tavv. 29-33; Onorati 1982, pp. 70, 181; Andreatta 1990, pp. 227-231; La pittura in