SAN FRANCESCO D’ASSISI, SANTA ELISABETTA D’UNGHERIA BENEFICIA I POVERI E ANGIOLETTO CON SCAPOLARE DEL TERZ’ORDINE FRANCESCANO

Ambito/Autore : Domenico Bonora (Cavalese, 1685-1757)

Periodo storico: 18° secolo
Anno: 1725-1750
Soggetto: San Francesco d’Assisi, Santa Elisabetta d’Ungheria beneficia i poveri e angioletto con scapolare del Terz’Ordine francescano
Luogo di conservazione: Trento, convento di San Bernardino, Torricella
Materia e tecnica: olio su tela, cm 236 x 138
Provenienza: Cavalese, convento di San Vigilio, biblioteca

Descrizione:

Il grande dipinto è stato restaurato nel 1989 da Manuela Montagnoli Vertua (Brescia).

Giustamente padre Ciro Andreatta sostiene che l’opera è assimilabile per dimensioni e profilo centinato ad una pala d’altare, ma la specifica individuazione all’interno del tempio viene tuttavia elusa dalle fonti. La cronaca provinciale afferma che nel 1773 la chiesa di San Vigilio vantava, come già in origine, tre soli altari: il maggiore e i due laterali dedicati rispettivamente a Sant’Antonio da Padova e a San Pietro d’Alcantara (Morizzo, II, p. 333).

In alto, su un fondale chiarissimo di gusto neopalladiano – ma gustosamente variato nelle notazioni barocche del fornice – è San Fancesco d’Assisi. Egli mostra il Crocifisso ad una devota e zelante Santa Elisabetta d’Ungheria, accompagnata da due servitrici sontuosamente abbigliate mentre è intenta a distribuire elemosina a due poveri inginocchiati sui gradini più bassi. Pressoché sgombra di figure è la zona inferiore sinistra della tela, dove risalta un angioletto con lo scapolare del Terz’Ordine.Di fatto è proprio il Terz’Ordine, al quale appartenne anzitutto la santa ungherese, il fulcro tematico della pala che deve quindi essere stata commissionata da uno o più membri dello stato laico francescano quale dipinto di rappresentanza e di aggregazione all’interno della chiesa di San Vigilio.

Il dipinto spetta ad uno dei migliori pittori fiemmesi del primo Settecento: Domenico Bonora. Allievo di Giuseppe Alberti, Bonora articola nella maturità un linguaggio artistico personale che arricchisce la formazione fiemmese con la conoscenza dell’ambiente lagunare (si veda Mich 1987, pp. 110-113; La pittura in Italia. Il Seicento, II, p. 633: E. Mich). Quest’opera si colloca indubbiamente dopo l’iniziale Ultima cena di Predazzo (1719), mostrando una notevole regia compositiva atta ad alleggerire e variare gli stantii schemi albertiani. Domenico si avvale di una solenne ambientazione architettonica per scalare con maestria gli interpreti di questa ricca ma assai bilanciata pala; l’artista dimostra inoltre di padroneggiare il mezzo pittorico pur facendo uso di pochissime tonalità povere, dal marrone al grigio, al nocciola, in ricercato accordo con il tenore spirituale dei committenti.

Fonti: ACPFM, busta 304, Inventario 1927, n. 40; busta 244, Inventario 1960, p. 654, n. 35; SBC Menapace 1987/ OA/ 00053940.

Bibliografia: Onorati 1982, p. 181; Andreatta 1990, pp. 181-182; La pittura in Italia. Il Seicento, II, p. 633 (E. Mich).