Ambito/Autore : Giuseppe Antonio Betta (Cavalese, 1756-1783)
Periodo storico: 18° secolo
Anno: 1773; 1773 (?)
Soggetto: San Francesco d’Assisi riceve le stimmate; Madonna immacolata
Luogo di conservazione: Cavalese, chiesa di San Vigilio, altare maggiore, tabernacolo
Materia e tecnica: legno intagliato, dipinto, dorato, h cm 38,5; olio su tavola, cm 64 x 39
Descrizione:
Il complesso tabernacolo ligneo venne realizzato nel 1773 dall’intagliatore Giuseppe Antonio Betta. La struttura a tempietto, impostata su quattro colonne corinzie, presenta attico e copertura a cupola. Sul fronte è un dipinto con l’immagine di Maria assunta la quale mostra i connotati dell’Immacolata. La tavola è parte di una struttura girevole recante inoltre la scultura di San Francesco e un alloggiamento per l’esposizione del Santissimo, inquadrato da colonne salomoniche e cimato da angioletti reggicorona; la quarta nicchia è oggi occupata da un Crocifisso non pertinente ma in origine era questa la sede del Crocifisso settecentesco dello stesso Betta. Questa scultura venne rimpiazzata nel 1803 dal Crocifisso eburneo appartenuto a Cristoforo Unterperger, donato in quell’anno ai francescani da Domenico Antoniazzi (Andreatta).
Perduto il tabernacolo di Tesero, è questa l’opera su cui fondare le prospettive di un approfondimento critico che l’autore sembra meritare, soprattutto alla luce di quanto scrisse Ambrosi circa i lunghi periodi trascorsi dall’intagliatore “quasi sempre fuori patria”, ovvero “in Italia dove lasciò la maggior parte dei suoi lavori (Rasmo 1914). L’elegante linguaggio decorativo della struttura a tempietto esibisce la cultura precocemente neoclassica di Betta (i serti di alloro, i profili a cordone, l’attico con motivi a lira), tanto che sembra imperativo il rimando ad un contesto non locale, verosimilmente a Roma dove risiedeva ormai da qualche anno Cristoforo Unterperger. Le coordinate dell’unica scultura sopravvissuta, San Francesco d’Assisisi riceve le stimmate, sembrano confermare questo indirizzo e nella stessa direzione si pone l’attribuzione avanzata, in questo stesso volume, del Crocifisso del convento (cat. 259).
Il dipinto mariano non difetta di grazia ma perpetua modelli figurativi di primo Settecento e di matrice albertiana; la vezzosità della Madonna non manca di individuare convergenze con Martino Gabrielli e desta stupore che nel 1773 l’ignoto pittore ne facesse ancora ricorso. D’altra parte la sagomatura della tavola convessa esclude assolutamente la possibilità di un riutilizzo dell’opera pittorica. La disparità di aggiornamento culturale tra pittore e intagliatore rafforza l’autonomia del secondo nel quadro del contesto fiemmese.
Fonti: ACPFM, busta 304, Inventario 1927, n. 2; SBC Menapace 1987/ OA/ 00053809-810.
Bibliografia: Rasmo 1914, p. 29; Molinari 1926, p. 298; Felicetti 1933, p. 55; Weber 1977, p. 50; Onorati 1982, pp. 70, 181; Andreatta 1990, pp. 194-197; Rasmo 1998, p. 211; Scultura in Trentino, II, p. 80 (D. Cattoi); Giacomuzzi 2005, p. 126.