Ambito/Autore : Ambito veneto
Periodo storico: 16° secolo
Anno: 1575 - 1600
Soggetto: Cristo redentore
Luogo di conservazione: Trento, convento di San Bernardino, Torricella
Materia e tecnica: olio su tela, cm 53,5 x 59
Provenienza: Cavalese, convento di San Vigilio
Descrizione:
Il dipinto non è mai stato oggetto di studio e meriterebbe maggiori attenzioni a partire da un vigile restauro; si registrano stuccature, ritocchi e l’ingiallimento della vernice. La tela, percorsa in verticale da una vistosa cucitura, è stata palesemente ridotta, come si evince dall’incompletezza del titulus crucis. Con tutta probabilità il dipinto presentava in origine la figura intera di Cristo, in ogni caso doveva accogliere in basso (con un possibile, alternativo formato quadrangolare) il calice del sangue, come prescrive il canone figurativo di immagini similari.
L’iconografia del Redentore che offre il proprio sangue zampillante dal costato è squisitamente rinascimentale. Nel Quattrocento è fondamentalmente associata all’Imago Pietatis o a Cristo che emerge dal calice, ma anche al Redentore, come nella silografia di un trattato savonaroliano dove il Risorto gocciola sangue in un calice (Verdon 1997, p. 43, fig. 2). Dalle fonti legate alla tradizione del Vir Dolorum, la valenza eucaristica dell’immagine si carica quindi di connotati gloriosi (Verdon) intrecciandosi con l’iconografia del risorto. Nel Cinquecento si intensificano sensibilmente le raffigurazioni di Cristo redentore sprizzante sangue, accompagnato talvolta da devoti. Sono molto significativi, anche per profilare l’assetto originale del dipinto con il calice posato a terra, il Redentore di Bernardino Campi a Isola Dovarese (Mistero e immagine, pp. 166-167, cat. 47: L. Samoggia) e l’omologa immagine dipinta da Domenico Brusasorci per la chiesa di Nogarole Rocca (Splendori del Risorto, pp. 128-129: A. Malavolta). Ricorre con le stesse modalità figurative il gesto con cui Cristo dilata la ferita sul petto per far scaturire il sangue salvifico. Rispetto a questi precedenti, si colgono aspetti che indirizzano ad una cronologia più avanzata, tardo cinquecentesca. Se il cartiglio vergato in lettere capitali appartiene ancora alla cultura rinascimentale, l’indeterminatezza emotiva del volto e la classica ma meno compiaciuta resa anatomica del busto inducono a collocare il brano nell’età della Controriforma; sembra prevalere, in fondo, la valenza simbolica sul naturalismo dell’immagine e cooperano a questa impressione il fondo quasi uniforme ma soprattutto la tipologia dell’aureola interamente dorata. Il tratto pittorico è nondimeno molto delicato e sensibile, per quanto dissimulato dai ritocchi e si acclimata nel contesto veneto del secondo Cinquecento. La tipologia del volto pare in qualche modo evocare i modelli di Francesco Vecellio, ad esempio San Rocco nell’eponima pala a Perarolo di Cadore, declinandoli tuttavia in modo differente. L’individuazione di ambito e autore viene non poco ostacolata dall’assenza di informazioni sul dipinto che, è bene rimarcarlo, precede la fondazione seicentesca del convento di San Vigilio. Si tratta quindi di un’acquisizione successiva alla realizzazione dell’opera la cui origine resta ignota. Non è da escludere che si trattasse della pala per un altare dedicato al Corpo di Cristo, come documentano i precedenti poc’anzi menzionati. Se la provenienza fosse locale, ovvero fiemmese, sarebbe oltremodo coerente la soluzione verso la pittura veneta di entroterra, in particolare dall’area bellunese, tradizionalmente connessa alle valli di Fiemme e Fassa nelle quali non mancarono di giungere opere di pittori cadorini e feltrensi.
Fonti: ACPFM, busta 244, Inventario 1960, p. 654, n. 97; Giacomelli 1987/ OA/ 00054002.
Bibliografia: inedito