GESÙ CRISTO CROCIFISSO TRA SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, SAN DIEGO D’ALCALÀ, SAN BENVENUTO, SAN BERNARDINO DA SIENA E SANT’ANTONIO DA PADOVA; INCORONAZIONE DELLA VERGINE E SANTE

Ambito/Autore : Ambito veneto

Periodo storico: 17° secolo
Anno: 1612 ca.
Soggetto: Gesù Cristo crocifisso tra San Bonaventura da Bagnoregio, San Diego d’Alcalà, San Benvenuto, San Bernardino da Siena e Sant’Antonio da Padova; Incoronazione della Vergine e Santa Chiara, Santa Lucia, Santa Apollonia e Santa Caterina d'Alessandria
Luogo di conservazione: Pergine Valsugana, chiesa del Redentore
Materia e tecnica: olio su tela, cm 245 x 135; cm 245 x 134

Descrizione:

Le due pale godono di un’ottima leggibilità dopo il restauro condotto nel 2001 dal Consorzio Ars.

Entrambi gli altari laterali furono realizzati nel 1612 da Giovanni Battista Nave di Rovereto (Piatti 2000, pp. 389-390, nota 861) che Molinari equivocava quale autore dei dipinti. In ogni caso il riferimento cronologico è orientativamente valido per i dipinti, che si collocano in stretta prossimità cronologica con la pala dell’altare maggiore (si rinvia alla relativa scheda per la disamina delle fonti).

Non vi è dubbio che entrambe le tele siano opera dello stesso artista, per le fedeli opzioni di carattere figurativo e stilistico. L’intensa intonazione controriformistica dei dipinti traspare dalla didascalica definizione dei molti santi effigiati, nonché dalla morfologia di entrambe le pale.

La prima raffigura Gesù Cristo crocifisso tra San Bonaventura da Bagnoregio, San Diego d’Alcalà, San Benvenuto, San Bernardino da Siena e Sant’Antonio da Padova. L’identità dei santi è specificata da Tovazzi che precisa come l’altare sia stato eretto dal conte Giuseppe Alberti d’Enno. Rimarchevole l’inconsueta presenza di San Benvenuto vescovo (†1282), grande riformatore coetaneo di San Bonaventura, in realtà mai canonizzato ufficialmente. San Diego era invece un santo di recente canonizzazione (1588) rispetto all’epoca del dipinto e viene raffigurato senza alcun riferimento iconografico alla sua zelante e caritatevole attività in favore dei poveri. L’altissima croce funge da simmetrico diaframma longitudinale del dipinto e da elemento catalizzatore degli alti esponenti dell’ordine francescano, ai piedi dei quali si intravedono mitrie vescovili e una corona, a significare l’abbandono dei beni e delle glorie terrene e la loro stessa vanità di fronte alla redenzione di Cristo.

Netta è la ripartizione dei due registri nella pala della Madonna. La porzione superiore raffigura l’Incoronazione della Vergine tra Angeli musicanti, secondo uno schema del tutto comune ad inizio Seicento. In basso, domina Santa Chiara in posizione centrale, quale fondatrice del secondo ordine francescano, mentre ai suoi lati si assiepano, con ricercata simmetria, Santa Lucia, Santa Caterina d’Alessandria, Sant’Apollonia e Santa Margherita d’Antiochia, ciascuna agevolmente identificabile dagli attributi ostentati. Le sante, dalle pose regali e una certa avvenenza femminile, perseguono un canone di matrice veneta, lasciando scorgere, nonostante il rigore d’insieme, la conoscenza della pittura tardo manieristica di estrazione lagunare. La tavolozza, molto accesa anche nelle brevi porzioni di paesaggio, sembra in egual misura indice della provenienza veneta dell’ignoto artista, che ama indugiare nella descrizione di numerosi dettagli delle elaborate vesti delle sante vergini. Permane tuttavia una certa tendenza ad astrarre e un incisivo ductus grafico – entrambi eredità dell’età palmesca – come evidenzia il trattamento delle nubi e dello schematico squarcio attorno alla croce, nella pala di sinistra. Qui la rigidità dei santi francescani dai volti pienotti, stretti e un po’ assurdamente scalati attorno alla croce, stride non poco con il drammatico inarcamento dello scultoreo corpo di Cristo. La sensazione è quella di un malaccorto coordinamento delle diverse parti, quasi concepite in modo indipendente e solo successivamente assemblate: un’impressione a dire il vero suscitata anche dalla pala mariana, dove l’implicita sovrapposizione dei due registri narrativi viene oltremisura accentuata. È questa caratteristica ad evocare un maestro dalla personalità ancora sfuggente, firmatosi, una sola volta, nel 1620, a Caldes, “Ciro Lugo”. Un pittore dell’entroterra veneto molto attivo in Trentino nel primo quarto del Seicento, al quale è stata riconosciuta un’instancabile rielaborazione di modelli incisori sia italiani che nordeuropei (Liandru 2011). La porzione con l’incoronazione della Vergine presenta la stessa impostazione (peraltro d’accatto), della Incoronazione della Madonna, San Giovanni Evangelista e San Francesco d’Assisi in Santa Maria assunta a Calavino; ma tutto sommato anche il chiastico disporsi delle sottostanti sante vergini richiama, più o meno fedelmente, uno dei modelli maggiormente rabberciati dal misterioso pittore, la Madonna e santi di Paolo Veronese in San Francesco della Vigna (Liandru, pp. 277-279, figg. 12, 14-15; si veda inoltre la pala di Padergnone: pp. 265, 269, 287, fig. 5). Nonostante questi incoraggianti richiami (lascio all’attenzione di altri il divertissement dei riconoscimenti calcografici), percepiamo anche sostanziali differenze di stile, evidenti nella predilezioni per i tessuti vivacemente descritti, laddove Lugo opta per compatte e uniformi masse cromatiche. È pertanto saggio lasciare in sospeso la questione attributiva, tanto più che ci troviamo di fronte a tele anteriori di qualche anno alle prime opere ricondotte a Lugo. È invece utile porre in risalto la premura dei frati di Pergine a sortire, nel secondo decennio del secolo XVII, un esito di compatta uniformità figurativa attraverso le pale degli altari laterali e quella maggiore del Polacco.

Fonti: Tovazzi, Relatio Prima, pp. 66-67; Morizzo, II, p. 332; ACPFM, busta 244, Inventario 1962, p. 664, n. 34-35; SBC 1980/ OA/ 00019217-00019218; ACSSR, Inventario 2002, p. 2.

Bibliografia: Molinari 1926, p. 304; Onorati 1982, p. 179; Piatti 1995, pp. 187-189; Piatti 2000, pp. 389-390.