MADONNA ASSUNTA E CHERUBINI, SAN MICHELE ARCANGELO E CHERUBINI

Ambito/Autore : Giandomenico Carneri (e bottega) (notizie 1548- ante 1589)

Periodo storico: 16° secolo
Anno: 1550- 1600
Soggetto: Madonna assunta e Cherubini, San Michele arcangelo e Cherubini
Luogo di conservazione: Trento, Fondazione Biblioteca San Bernardino
Materia e tecnica: pietra calcarea scolpita, h. cm 113
Provenienza: Arco, convento delle Grazie, 1883

Descrizione:

Queste sculture litiche sono avulse dal contesto attuale e sono dunque pezzi erratici, riuniti per la prima volta in questa sede.

Sulla prima, raffigurante la Vergine immacolata attorniata da cherubini siamo meglio informati. Fino al 1883 si trovava nel complesso francescano di Arco; Marco Morizzo specifica che in origine era posta “sulla facciata della vecchia” chiesa, ovvero del tempio quattrocentesco. Contestualmente alla riedificazione della chiesa nuova a metà Ottocento, il pezzo perse la sua funzione originaria e, dimenticata per alcuni decenni, venne tradotta a Trento nell’anno 1883. Due anni dopo fu posta a coronamento di una colonna lapidea eretta sul dosso soprastante il convento. Risale a questo momento la realizzazione del doppio basamento circolare e quadrangolare, mentre la base originale, a profilo rettangolare smussato, evidenzia la differente qualità di pietra impiegata. Priva delle mani, la statua venne integrata da fra Celestino Torresani; anche quest’aggiunta risulta oggi perduta e sono ben in vista i giunti metallici per l’innesto degli arti. Solo nel 1968 sopraggiunse l’iniziativa, non troppo felice, di confinare la statua sull’alto muraglione della strada che conduce all’infermeria. La prolungata esposizione agli agenti atmosferici e gli spostamenti hanno inferto non pochi danni all’opera.

La statua di San Michele, malamente riadattata a fontana nel XIX secolo, il braccio destro sollevato a reggere in origine la spada, è rialzata su una sorta di capitello corinzio coronato da tre cherubini. Il ricco apparato decorativo finto a bassorilievo sui calzari (cherubini) e sulla lorica dai profili smerlati (girali e motivi fitomorfi), così come il diadema gemmato in fronte, sono tutte caratteristiche che rimandano per gusto e tipologia ornamentale all’età manierista, più precisamente alla seconda metà del Cinquecento. La fattura piuttosto rude del volto, dall’espressione indeterminata e l’anatomia assai poco sciolta, palesa notevoli affinità con la Madonna assunta in San Bernardino a Trento, anch’essa originariamente ad Arco. Ricorrono analogie nel volto tondeggiante e nella resa della bocca, inoltre entrambe presentano sulla base impettiti e sovrapponibili cherubini. Per ragioni iconografiche, la figura della Madonna, rigidamente frontale, non è caratterizzata da orpelli decorativi ma del tutto affine è il modulo proporzionale piuttosto allungato, mentre ricorre in entrambi i pezzi una corsiva ed elementare fattura delle pieghe nei drappeggi. Va osservato che l’iconografia della Vergine a mani giunte e attorniata da cherubini, a queste date propria non solo dell’Assunta ma anche dell’Immacolata, trova un precedente, al quale lo scultore forse trasse ispirazione, nella scultura posta al vertice del portale a Prato in Santa Maria a Trento.

Le caratteristiche formali della Madonna hanno suggerito una possibile attribuzione a Cornelis Van der Beck (Giacomelli), scultore fiammingo del Seicento effettivamente connotato da forti accenti arcaizzanti. Tuttavia, l’esame ravvicinato della statua tridentina – grazie alla recentissima rimozione dall’esterno – e la possibilità di ampliare il campo dei confronti attraverso il San Michele di Arco, consentono di anticipare la datazione di entrambi i pezzi e di porli in relazione all’officina di Giandomenico Carneri, documentato tra il 1548 e il 1584. Questo operoso atelier monopolizzò nell’ultimo quarto del XVI secolo la scultura lapidea in Trentino (si rimanda a Bacchi, Giacomelli 2003 e Siracusano 2009) e, pur partendo da deboli premesse, si evolse riuscendo a produrre nell’età madruzziana una messe di complessi architettonico-scultorei. Nonostante lo stato di conservazione tutt’altro che soddisfacente, numerosi e significativi sono i confronti istituibili con opere uscite da questa bottega nella quale collaborarono diversi artefici, a partire dai figli del capostipite, Simone e Paolo. Senza allontanarci dal basso Sarca, si rammenta il monumento funebre d’Arco nella chiesa del Carmelo alle Sarche, eseguito da Giandomenico, Paolo e Simone Carneri entro il 1595 (si veda per la difficile cronologia Siracusano 2009, p. 100), nel quale ricorrono sigle del tutto analoghe ancorché una maggior qualità. Ma non è meno significativo il confronto con le erme del camino di palazzo Lodron a Trento (1580-1585) attribuite a Paolo Carneri (Bacchi, Giacomelli 2003, p. 93). L’operatività protoindustriale della bottega ostacola spesso la ricerca di una specifica personalità all’interno della compagine familiare ed anche in questo frangente è preferibile individuare un’espressione della bottega sotto la guida attenta del capostipite Giandomenico.

Stabilita in tal modo la cronologia di massima e l’ambito esecutivo, mi pare sussistano i motivi per avanzare un’ipotesi che riguarda l’originaria ubicazione di questi pezzi. Nel 1589 venne dato il via ad un significativo ampliamento del convento al quale dovette corrispondere un allungamento dell’aula (Stenico 2004b, pp. 45-47, 130) che comportò il rifacimento della facciata. Per dimensioni e tipologia strutturale della base, le due statue in parola troverebbero una coerente collocazione proprio a coronamento di un portale archivoltato o di un fornice di cappella del tutto tipici del Cinquecento. La demolizione della chiesa rinascimentale nel 1856 ha comportato la rimozione degli elementi architettonici ad essa coerenti. Ma a questo proposito è utile soffermarsi su un frammento architettonico di sicura datazione cinquecentesca, murato nel chiostro del convento: un pezzo di piedritto o di architrave, caratterizzato da modanatura ininterrotta e vistosa bugna in pietra di paragone che si adegua al lessico dei portali rinascimentali trentini. Se l’ipotesi fosse corretta – ma sembra meno agevole ricondurre le sculture ad un altare o ad un monumento funebre – andrebbe immaginata una struttura a fornice coronata da statue. La frontalità e l’iconografia dei pezzi superstiti impediscono di evocare una struttura con due sole sculture (il che sarebbe invece credibile se disponessimo di un’Annunciata e un San Gabriele arcangelo), per cui è probabile che la Madonna, al vertice, dominasse su due statue in posizione inferiore: San Michele arcangelo e un terzo pezzo ai lati dell’archivolto distrutto o disperso con la forzata rimozione ottocentesca della struttura. Questo assetto sarebbe parso peraltro assai familiare ai frati di Arco, rammentando una soluzione affine al più antico portale maggiore del San Bernardino di Verona. Il ricorso all’officina Carneri si profila inoltre in linea con la committenza d’Arco che si servì negli stessi anni della bottega di Giandomenico Carneri per il monumento funebre nella chiesa del Carmelo alle Sarche e che forse, anche in questa occasione, favorì il decoro del santuario mariano affidato ai minori di San Francesco.

Fonti: Morizzo, IV, p. 189; PAT n. 51619 (D. Floris) (n. 58179); n. 72430 (B. Dal Bosco); ACSMG, Inventario 2013, n. 25.

Bibliografia: Stenico 1999, p. 402; L’immagine di San Vigilio, pp. 296-297 (L. Giacomelli); Scultura in Trentino, II, p. 40 (R. Biasini); Stenico 2004b, p. 463; Retrosi 2007, p. 190.